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Il punto è lasciare andare. Lasciare andare ma dove. E perché? Perché non c'è altra possibilità che lasciare fluire la vita e, poi, guardarla negli occhi, sentire il vento sulla pelle e intuire quale vela alzare. Andare incontro alla vita non significa scontrarsi con essa. Semmai abbracciarla e lasciare che il suo nettare ci nutra piano, ogni giorno, come se ogni alba fosse un nuovo inizio che chiede un nuovo abbandono.

Fare le promesse che possiamo mantenere, significa non fare promesse perché del «doman non v'è certezza» e non c'è certezza del certo.

Non è cinismo, ma un atto di fede nel presente. Ogni singolo attimo, è. Ogni è diventa un susseguirsi di è, una catena ininterrotta, infinita, che conduce verso l'eternità.

Noi siamo, nei gesti e nelle tracce che abbiamo lasciato, anche dopo la nostra morte. C'è un corso a Milano, a due passi dal Ticinese, che porta ancora l'eco e il gesto di un fatto che è accaduto alla mia nonna e alla mia bisnonna ai primi del ’900: il mio bisnonno, nel 1914, durante i disordini pre-Grande Guerra, morì in modo tragico sotto un tram. Il suo mantello di agente del dazio si impigliò nel tram e la sua vita finì sul selciato. Mia nonna aveva 9 anni e per mano alla sua mamma percorreva corso San Gottardo a Milano quando una signora, urlando e sbracciandosi, corse loro incontro. «Angela, Angela, il tuo Pietro...». Mia nonna mi raccontava quello che fu il momento più duro della sua vita e io sentivo quella donna sbracciarsi e il dolore nel cuore di quella bambina e della sua mamma. Quella voce la sento tutte le volte che percorro quella strada. 

I nostri gesti, le nostre emozioni, le nostre voci, restano appese in un non-tempo che forma il tempo. Forse è per quello che abbiamo il dovere di perseguire la gentilezza, il bello, l'armonia. Perché se resta qualcosa, che resti il meglio.

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Come lasciare fluire la vita

in un eterno presente

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